Annie John: l’amore sepolto secondo Jamaica Kincaid
Di Jamaica Kincaid ricordo il suo sguardo deciso, le sue frasi graffianti, il voler sottolineare, di fronte al pubblico dell’edizione 2014 di Pordenonelegge, alcuni aspetti dell’essere una scrittrice nera, originaria di Antigua per la precisione.
Nei tre anni successivi ho avuto modo di scoprirla ulteriormente, di emozionarmi seguendo la sua voce e il suo fuoco, il tutto calibrato attraverso uno stile senza eguali.
È stata una grande sorpresa, quindi, scoprire la pubblicazione di «Annie John», primo romanzo dell’autrice uscito per la prima volta nel 1985 e pubblicato oggi in Italia da Adelphi nell’ottima traduzione di Silvia Pareschi.
Quelle della Kincaid sono storie legate a due costanti: l’ambientazione di sfondo caraibico e la particolarità della voce narrante, unica e sola entità veicolante di qualsiasi aspetto del mondo. Un IO esotico, avvolgente, misericordioso ed estremamente pericoloso per il lettore.
Annie John regala da subito pagine molto intense sul rapporto madre-figlia, sull’amore che solo una madre può provare nei confronti di quella creatura da proteggere e rendere parte del suo universo. Una simbiosi genetica pronta però a mutare. Il passaggio all’età adulta di Annie sarà il fattore scatenante delle prime incomprensioni, delle rivelazioni dolorose e di una nuova solitudine con la quale rapportarsi a un senso di finitezza che tutto confonde.
Ogni tanto le figurine nere e bianche apparivano di mattina. Mia madre disse che probabilmente era la sepoltura di un bambino, perché i bambini venivano sempre sepolti di mattina. Fino a quel momento non sapevo che i bambini morissero.
Anche questa volta il confine tra autobiografia e narrativa rimane un aspetto da tralasciare, da non valicare intenzionalmente, un errore nel quale non cadere, nonostante gli evidenti rimandi all’esperienza privata dell’autrice. Tanto saremo concentrati su tutti quei temi così delicati che racconta.
Tematiche come l’infanzia vissuta sotto la dominazione inglese, i controversi rapporti familiari e il forte desiderio di indipendenza dovranno essere trattate per quello che sono: muri contro i quali abbattere paure, gioie e determinazione.
La storia di Annie si inserisce perfettamente tra i racconti di «In fondo al fiume» e la furia di «Un posto piccolo», lavori giovanili divenuti piccoli manifesti di eccezionale potenza. Un primo romanzo a cui manca sicuramente la maturità dei lavori successivi, ma non la sincerità e l’impatto capaci di coinvolgere il lettore.
Se diventare signorina significa perdere l’amore di un genitore, diventare donna sarà guardare il futuro con timore. Sarà guardare il passato prima con nostalgia e poi con ribrezzo, con quella voglia di lasciarsi tutto alle spalle, compresi gli amori più cari, pur di sentirsi finalmente vivi in una terra di morti.
(…) quando lui rispose che stava andando a costruire una casa, lei disse: “Una casa? Perché vivere in una casa? Basta un bel buco per terra, così puoi andare a vivere come ti pare”.
Leggere Kincaid rimane sempre un’esperienza dalla quale si esce malconci. Un confronto continuo con la pagina, quello che solo la grande letteratura riesce a creare.
Annie John mi ha portato a sotterrare i miei amori pur di sentirmi libero di vivere i miei sogni, farlo con sofferenza, con lo spaesamento di chi brancola nel mare del domani e fa per la prima volta affidamento su di sé.
Riuscire nell’impresa il compito più difficile, farlo senza paura il piacere più grande.
Autore: Jamaica Kincaid
Traduttore: Silvia Pareschi
Editore: Adelphi
Collana: Fabula
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