Happy Hour: il decadentismo femminile di Mary Miller

Mary Miller l’avevo scoperta con Last days of California, il primo romanzo di questa giovane autrice americana, scommessa azzeccata della ex-collana BlackCoffee di Edizioni Clichy. Sono passati diversi anni, quella collana è diventata un editore e il nome di Mary Miller è stato un ritorno più che gradito in luce della bravura dimostrata.

Happy Hour è la raccolta racconti precedente a quel romanzo on the road tanto amato e che, come tutte le storie curate da casa Black Coffee, si è rivelata un’esperienza strana e per nulla confortante.


Sedici storie di donne, raccontate, vissute ed elaborate da altrettante donne. Un cerchio tutto al femminile nel quale mi sono ritrovato da subito spaesato, in un mondo non mio, distante per natura e solidarietà maschile.

Il racconto degli ex, di tutti quegli uomini dai quali fuggire senza nessun rimpianto, è l’espediente per ricostruire una gamma di esperienze assurde in cui donne fragili, insicure, cercano nei dettagli, negli oggetti del mondo, i loro affetti e le loro mancanze.

Di fronte a presenze maschili apparentemente forti le ho viste adattarsi a delle vite vuote, chiedendomi come fosse possibile, come al sapere di determinati avvenimenti li accettassero con rassegnazione. Il confronto con l’altro sesso, qui tra queste pagine risulta fondamentale, un banco di prova per la sfida della vita.

Tutti ti lasciano qualcosa; avremmo ben poco a questo mondo, senza le persone che abbiamo incontrato.

Un’esperienza di lettura difficile per il tipo di immedesimazione necessaria, ma terribilmente stimolante per il mondo mostratomi. Una realtà non solo psicologica ma anche tangibile, come quella del sud dell’America, uno sfondo difficile e distinto da un’alternanza tra povertà e ricchezza sbilanciata in cui rimboccarsi le maniche diventa un processo culturale. Un luogo per nulla passivo che sembra quasi prenderti in giro.
 

<Ci prende solo per il culo>.
<Chi?>
<Il cielo> risponde. <La natura. Dio>.


Racconto dopo racconto le voci si sono mischiate, confondendosi e diventando il diario di un femminismo decadente, quello ancora seduto in una vita non sua, una vita privata scomparsa nel nostro quotidiano nella totale indifferenza.


Spogliata da qualsiasi punto fermo, arricchita da amori finti, morbosi, la donna creata da Mary Miller ha bisogno di un riscatto perché stanca di soffrire e cercare comprensione.

Molti potrebbero parlare di un ritratto della donna media del Sud, altri invece, verranno disturbati da una perversione nascosta ma non per questo inesistente per poi accorgersi dell’importanza di una bellezza necessaria.

Pensa a tutte le volte che è stata male lei, e poi pensa alla bellezza e a quanta fatica faccia trovarne, persino nelle cose belle. Si domanda se chi ha sofferto nella vita ne veda di più. Si chiede come faccia una manciata di parole a sembrarle tanto significativa quando in realtà non significa niente.

Tra alti e bassi ho cercato l’immedesimazione, in alcuni casi riuscita in altri meno, accarezzando senza nessun tipo di pietismo l’altro sesso ma cercando al tempo stesso di comprenderlo e di capire le regole di questo lento declino.

Nonostante abbia preferito la Miller nella sua forma lunga, riuscendo a giocare con il sottoscritto, ha vinto comunque la sua sfida personale, come se quello incompreso fossi stato da sempre io. Uno dei tanti ex, in questo caso, passato per una lunga e tormentata interrogazione di coscienza.


Potrebbe interessarti anche:
Last days of California di Mary Miller