L’arte di collezionare mosche di Fredrik Sjöberg
Lo sguardo corre da una pianta all’altra, in una corsa frenetica, indagatrice. Il collezionista di mosche trova nella sua sezione di caccia la sua dimensione, la forma del suo essere curioso e insaziabile.
Questo Fredrik Sjöberg lo ha ben presente e il suo L’arte di collezionare mosche (Iperborea) è il testamento di chi, lo sguardo dell’amore, lo ha rivolto ai sirfidi, a una specie ben precisa di mosca. Ecco quindi la vita di un uomo diventare la ricerca di piccoli attimi vibranti.
Questo libro, tramite una mutazione bizzarra ma allo stesso tempo naturale, riesce a unire il racconto autobiografico, il saggio a pensieri dall’alto contenuto letterario senza badare alla forma, abbandonando però qualsiasi intento scientifico.
Come un insetto multicolore L’arte di collezionare mosche può risultare un elemento quasi del tutto inedito all’interno del macrocosmo letterario.
Una narrazione camaleontica: vita privata, storie di grandi esploratori, aneddoti e considerazioni letterarie. Questa la base per un’analisi intima sulle possibilità dell’uomo tra ironie e paure.
L’origine della paura è nel futuro e chi è affrancato dal futuro non ha più nulla da temere.
Sjöberg stabilirà i confini del nostro essere, le regole attraverso le quali provare a resistere in una natura seduttrice e sempre più artificiale.
Atlantide, le vicende di René Malaise e di numerose avventuriere nordiche tesseranno la struttura discontinua di un testo ipnotico.
La catalogazione può diventare metafora del nostro io, una ricerca di rassicurazione nascosta, di regole del vivere, di etichette da leggere nei momenti del bisogno.
La risposta di Sjöberg è l’inizio di un racconto più complesso che vedrà la sua continuazione con Il Re dell’uvetta (in uscita a settembre). Un racconto sincero e coraggioso che inizia e si conclude con una linea, un confine, uno spazio dentro il quale rifugiarsi nella nostra realtà di incomprensioni.
Tutti noi partiamo per lunghi viaggi che si rivelano pieni di delusioni. Perfino che i terremoti, o quali che siano le esperienze, hanno un significato, lo capiamo molto dopo.
Il ritorno, lo sguardo sulle piccole cose, potrebbe addirittura nascondere un battere d’ali, quel rumore così atavico e primordiale sul quale concentrare il nostro amore per noi stessi.