Mostri che ridono: l’Africa nera di Denis Johnson
Mi capita spesso di seguire molti autori ancora prima di leggerli, mi informo sulle uscite, vedo i loro nomi tra le liste dei maggiori premi letterari e cerco di inserirli in una sorta di mappa letteraria tutta personale. La maggior parte delle volte riesco a farmi un’idea, il più delle volte esatta, su cosa troverò una volta che avrò modo di affrontarli.
Con Mostri che ridono (Einaudi), l’ultimo romanzo di Denis Johnson, è successo proprio questo e solo dopo pochissime pagine ho capito di avere completamente sbagliato.
Johnson è una delle voci americane più solide dei nostri tempi con alle spalle un National Book Award e un Pulitzer sfiorato per un soffio e mai avrei immaginato di scoprire in questo autore una vena camaleontica.
Mostri che ridono si presenta infatti come una spy-story, un intrigo apparentemente classico mosso da due uomini sullo sfondo di un Africa famelica.
Tra le varie macchinazioni tra Nato e altri enti sotterranei, il lettore non farà nessuna fatica a notare una sorta di sottosuolo pulsante tra la terra arida di questa storia. Una sorta di spaesamento dovuto a una diserzione di genere.
Cos’è la diserzione? La diserzione è una moneta. La giri e dall’altra parte c’è la lealtà.
Johnson mischia le carte in gioco, così come richiesto dal genere, muovendo i suoi personaggi spigolosi attraverso un trama ordinaria. Poi arriva l’Africa e tutto cambia, come se tutto fosse fagocitato da un territorio senza speranza. Ed è al suo interno, seguendo la corsa verso un desiderio illusorio, che le psicologie brillano nelle loro inquietudini, in una spirale di rapporti falsi, eccitazione e poche solide certezze.
Per lui il mondo consiste di zone cedevoli, zone solide e buchi, è tutto terreno, e lui lo percorre, fermandosi solo per mangiare, bere, pisciare, scopare o curarsi le ferite.
Lo sguardo atavico è quello più incisivo, quello di un’Africa nera dentro la quale tutto è ancora possibile. Ogni ambizione può essere ancora soddisfatta seguendo regole primitive basate sulla forza e il potere. Un territorio crudele in cui l’unico sbaglio risulta essere quello di guardarsi indietro per vedere le conseguenze delle nostre azioni.
Sono le immagini crude create dall’autore americano a lasciare senza fiato. Dipinti moderni caratterizzati dalla fusione di sogno e realtà, questi raffigurano i prigionieri di questo mondo, tutti coloro che credono di essere svegli ritrovandosi davanti agli occhi una realtà spietata.
Vero o falso cosa importa? La verità di Michael vive solo nel mito. Nei fatti e nei dettagli muore.
I mostri che ridono riescono a portare avanti il mondo con la tribalità, una pratica antica che tra quelle foreste di pino si scontra con la fame e le disillusioni della modernità.
Molti hanno citato un moderno Cuore di tenebra dove Johnson ci ricorda solo quanto questa terra sia ancora feroce, pronta a divorare, come ha sempre fatto, nuovamente tutto. Questa volta però, presentandosi con un vestito diverso, una mimetica militare, con un fare tutto contemporaneo.