Un’imprecisa cosa felice di Silvia Greco

Tamponare il dolore in seguito a un lutto non è mai semplice. Ci sono vite dedicate alla commiserazione e al ricordo di chi ci ha lasciato. Ci sono vite in cui questo dolore non viene mai arginato. 

Come ci comporteremmo di fronte a una morte inaspettata sarebbe meglio non saperlo o, nel peggiore dei casi, ricordarlo. Nel caso invece di una morte tragicomica, una di quelle che solo i cartoni animati sanno mostrarci, l’esperienza potrebbe complicarsi ulteriormente. 

Queste sono le premesse di Un’imprecisa cosa felice, il romanzo d’esordio di Silvia Greco edito da Hacca edizioni e arricchito dalla delicatissima illustrazione di Maurizio Ceccato.



Quelle di Marta e di Nino sono due vite che con la morte hanno un rapporto molto stretto. Sono due anime bizzarre le quali camminano in un mondo privato, intimo, capace di oscurare la realtà e di far perdere coloro che nella disillusione cercano il conforto.

Marta e Nino hanno perso in maniera ridicola una parte di loro stessi, rimanendo da soli, con qualche giocattolo rotto tra le mani.

La Greco accoglie con onestà queste figure orfane, accoglie il lettore con un misto di ironia e leggerezza difficile da mantenere di fronte la morte.

Un’imprecisa cosa felice è il trovare il nostro posto nella vita di tutti i giorni, cercando di rialzarci, sempre con positività ma senza che un misto di rimpianto e melanconia ci possa scappare.
Siamo noi soli, neanche le persone del nostro futuro sembrano potere aiutarci, non quando queste non toccano le nostre esperienze, le nostre anime.

Gattoso per Marta voleva dire la cosa più bella di tutte le cose belle, quando di colpo ti fidi dell’intero universo e allora ti strusci e fai le fusa e dai le nasatine contro il mondo e ogni vibrassa è in sintonia con i pianeti e le pance sono morbide e calde e profumano di casa e pane appena sfornato e se mi scegli io ti scelgo perché è così che deve andare.


Sono le immagini a colpire, piene di dolcezza, fatte di una scrittura calibrata senza che questa debba scomodare il famoso “stile cinematografico”. Piccole polaroid, non sempre felici, impossibili da cancellare anche dopo la lettura.

Le immagini forti si possono costruire sono con abilità e coinvolgimento e grazie a queste, nonostante mi sia ritrovato tra le mani un libro lontano dalle mie solite letture, sono rimasto abbastanza soddisfatto.

Di fronte a una trama incastrata con troppa precisione, prendere atto di quanto la nostra felicità possa dipendere dalla bellezza del mondo, dei piccoli dettagli, magari quattro semplici ruotine montate su un cavallino a dondolo per poterci spingere verso il domani impiegando un po’ meno fatica, rimane la migliore esperienza dell’oggi e del domani.