Vita, vecchiaia e morte di una donna del popolo. Il lutto di Didier Eribon
Sappiamo tutti come la Francia, in ambito europeo, sia considerata il territorio più roseo e di riferimento per la letteratura contemporanea. Molte delle voci che più amiamo e più vengono lette arrivano proprio da un paese che ha fatto della qualità il suo marchio di fabbrica. Lo stesso che negli ultimi dieci anni ha saputo conquistare ben due premi Nobel, un riconoscimento che conferma la ricchezza delle sue scrittrici e dei suoi scrittori.
Tra i tanti nomi di questo fermento c’è anche quello di Didier Eribon, un intellettuale di spicco poco conosciuto in Italia. Dopo la consolidazione e il successo di «Ritorno a Reims», uno dei libri di riferimento per la generazione francese dei ’70, torna in libreria con «Vita, vecchiaia e morte di una donna del popolo» edito L’orma Editore.
Poco sapeva anche il sottoscritto se non il doversi confrontare con un sociologo e filosofo da noi poco tradotto: giusto la sua biografia su Michel Foucault e le riflessioni sulla questione gay, per il suo impegno quasi trentennale all’interno della comunità lgbt. Ma per Eribon, come successo per molti connazionali, tutto è cambiato con l’autofiction, con l’indagine personale in prima persona. Proprio con la forma narrativa più diffusa degli ultimi anni, con quel racconto delle esperienze pubbliche e private veicolate dallo stesso sguardo del narratore.
Qui si colloca la vita, la vecchiaia e la morte di una donna del popolo, nel racconto personale di Eribon nei giorni difficili della morte della madre. Così come «Ritorno a Reims» nasceva dalla scomparsa del padre, dal ritorno alla città natale abbandonata anni prima con dolore e voglia di riscatto, seguiremo ancora la voce di un uomo che sta per abbracciare nuovamente il lutto e, nel farlo, svelerà diverse verità politiche, sociali e degli affetti.
Anche quando non rimane nulla del passato, quando tutto è perduto nell’oblio, restano i segni incancellabili dell’assoggettamento.
La vita diventa il passato, la vecchiaia il presente e la morte si trasforma in futuro prossimo. Pare non ci sia una formula diversa per una donna che non sta più riuscendo ad attraversare la terza età in autonomia, l’unica soluzione sembra essere quella sofferta e apparentemente sicura della casa di riposo. Eribon parte da qui, dal racconto di una madre da dover accudire e convincere della necessità di un aiuto sempre più urgente.
Mi interessava proprio quello: la possibilità di avvicinarmi a un’esperienza legata alla genitorialità che molti di noi dovremmo attraversare. Nonostante mi sembri tutto ancora così lontano, che quell’età sia visibile in un orizzonte sfocato, ho pensato di affidarmi per imparare. E, per molti aspetti, così è stato.
Per prima cosa ho scoperto come sia stretto il rapporto tra vecchiaia e potere, come con il procedere dell’età saremo schiacciati da forze terze. Ho osservato come il lasciarsi andare, la propensione a non vedere più un senso nel quotidiano prenda un nome ben preciso: “sindrome da scivolamento”. Ed è facile abbracciare uno stato irreversibile quando le strutture mediche non hanno personale sufficiente per garantire l’igiene personale, la possibilità di alzarsi a piacimento da un letto, nonché il mantenimento di una libertà individuale. Lo sconsolato Didier non ha dubbi – grazie soprattutto alla sua esperienza – ma quando quel potere viene meno, i vecchi tendono a scomparire.
(…) per sottrarsi al destino, per sfuggirgli, seppur di poco: il volere c’è, il potere no. E alla fine, a forza di non potere più, non si vuole più.
I defunti sono però gli stessi che hanno combattuto nella politica e nei giorni della memoria. Ci si chiede a che pro se tutto verrà divorato dall’oblio e sarà forse custodito e relegato esclusivamente alla memoria filiale. In questo racconto la collettività sembra aver fallito, sembra abbia anch’essa spirato.
Così «Vita, vecchiaia e morte di una donna del popolo» diventa un libro politico sulle scelte e le analisi dei nostri comportamenti e delle nostre decisioni. La Francia diviene lo sfondo di una feroce critica alle strutture lavorative che hanno formato generazioni di lavoratrici e lavoratori, influenzandone il credo e la possibilità di creare una società più vicina al modello operaio socialista. Quello di Eribon è però il paese del nazionalismo e del razzismo sotterraneo, lo stesso esternato da quella madre. Non è bastato l’essere donna e dover attraversare le difficoltà e il potere del maschilismo, neanche dopo le decadi passate in un matrimonio-gabbia senza la possibilità di potersi liberare, non con quello stipendio, non con dei figli a carico.
Tra queste pagine è difficile scorgere la possibilità di un futuro nel quale poter modellare, entro un certo limite, le strutture storiche e sociali che hanno determinato intere generazioni. Solo così sembra possibile una trasformazione, cercando di mettere le mani nel fango del passato e reinventarci. Questa sembra la sfida intellettuale e sociale di Didier Eribon.
Per affrontare i grandi temi filosofici della vita ci si deve affidare anche alle parole degli altri, anche solo per seguire con coerenza la necessità di una sana condivisione dei sentimenti. Tanto è il citazionismo presente, come se l’autore fosse partito dalla lettura dei grandi monoliti per poi ripassare su carta carbone la storia di una madre uccisa da un sistema di morte legalizzato.
Spazio a Danilo Kiš, Philip Roth, Christa Wolf, senza dimenticare la scuola dei filosofi francesi e dei grandi narratori chiamati a soccorso per attraversare un lutto tanto privato quanto collettivo. Al lettore non mancheranno le giuste linee guida: da «L’essere e il nulla» di Jean-Paul Sartre al dimenticato «La terza età» di Simone de Beauvoir, il percorso sarà pieno di suggestioni d’eccellenza che in alcuni momenti oscureranno addirittura la voce del narratore.
I veri protagonisti sono però due: il tempo e l’amore. Solo accogliendo la fragilità di entrambi potremo entrare in quell’archeologia interiore di cui parlava Christa Wolf, della possibilità di poter trovare la felicità solo nel ricordo. Non a caso fu proprio lei, la grande autrice tedesca, a scrivere di come tutta la sua temporalità, nel tempo della vecchiaia, stesse sprofondando in un’assenza di tempo.
Il mio tempo si cancella come non-tempo.
Christa Wolf
Quando il presente di un genitore malato attraversa il tempo, quello della realtà di tutti i giorni, tutto si trasforma. Nella confusione della dimenticanza potrà trovare una felicità fittizia, immaginando la presenza di chi non c’è più o tornando con la mente agli affetti scomparsi. Sarà il legame tra tempo, amore e memoria ad accompagnarci sulla strada dell’oblio, verso quel momento in cui tutto verrà cancellato. Eribon descriverà proprio quel percorso, con tutti i sensi di colpa, i doveri e le alternative mancate. Il suo è il racconto di un figlio che ha affidato la morte alla letteratura, con tutto quello che ne consegue.
Forse per questo ci troviamo di fronte una voce tanto apprezzata da autori come Édouard Louis e Annie Ernaux, per il coraggio di vedere nell’elaborazione letteraria senza filtri un antidoto al dolore e alla possibilità di un’analisi più lucida.
Partecipare al lutto di Eribon ha richiesto empatia, capacità di ascolto e di non giudizio. Avrebbe richiesto anche una maturità che per questioni anagrafiche ancora non sento di avere e che sicuramente non è quella dei trent’anni. Per questo il libro sarà apprezzato ancora di più da lettori più grandi, quelli che hanno ancora più esperienze di vita, tutti coloro che vicini alla morte ci sono stati o hanno accettato di starci.
In questo lutto ho imparato che la giovinezza è il vero problema, essa rifiuta tutto, sottovaluta anche le narrazioni più delicate. Ride di fronte una memoria che sente salda e intoccabile, possiamo erroneamente essere convinti non ci sia storia familiare che possa andare persa o venire intaccata. Ma c’è sempre un ma, in questo caso racchiuso nella storia di una vecchia narratrice dimenticata dal popolo, questo non bisogna mai dimenticarlo.
Ma la storica e archivista della mia giovinezza non è più qui per raccontarla.
Omera è morta. E a me serve parlare di lei per tenerla in vita.
Autore: Didier Eribon
Traduttore: Annalisa Romani
Editore: L’orma Editore
Collana: Kreuzville
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tag #Filosofia #Francia #LGBT
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