Il peso minimo della bellezza di Azzurra de Paola
L’infanzia non può essere una giustificazione per nessun tipo di colpa. Il suo misto di complessità e fragilità pone continui interrogativi sulla forma di chi, così piccolo, può trovarsi tra dolori grandi non in grado di gestire.
In Il peso minimo della bellezza di Azzurra de Paola (LiberAria), come nella vita, c’è da subito l’intervento istantaneo della madre. L’attimo di naturale protezione che può essere una delle prospettive dalle quali analizzare il complesso rapporto tra madre e figlio.
Una madre pronta, guardando il suo bambino, a interrogarsi profondamente per cercare di comprendere quella sensibilità così articolata.
Come ci vedono i bambini? Questo l’interrogativo dal quale nasce questo racconto ancorato alle cinque fasi di elaborazione del lutto di Elisabeth Kübler Ross.
Passando per negazione, rabbia, patteggiamento, depressione e accettazione, il rapporto materno evolve con il passare del tempo, fermandosi però di fronte a momenti di svolta. Gli stessi momenti così intensi da esser ricordati nel tempo per la loro atipicità.
La de Paola nell’occultare qualsiasi figura paterna, dimostra una voce autentica, pronta a rivelare una bellezza tanto ammaliante quanto distruttiva.
Mi viene da piangere.
Piango ancora quando penso alla tua bellezza.
Piango davanti a tutte le cose belle perché vedo la loro disperazione per il peso di questa bellezza che sono costrette a portarsi sulle spalle (…)
Al tutto si aggiunge l’elemento esterno, l’uomo pronto a prendere l’amore che ci spetterebbe. Qui i rimandi classici all’Agostino di Moravia risultano singhiozzanti durante la lettura di uno stile frammentato. Punto dopo punto il triangolo deforma i propri sentimenti.
Il peso minimo della bellezza è un viaggio intenso nell’intimità di questo rapporto fortissimo. Uno sguardo sull’infanzia molto sentito prevale su una trama meno accattivante, quasi come se la storia fosse a corredo di un’esigenza di esternare un bisogno.
Un vaso rotto, un rubinetto otturato, un pianto disperato. Tutti segnali comuni, di rapporti comuni, di un dolore e una bellezza nascosti. Questo il modo di scoprirli, tralasciando la storia e ascoltando il non detto.