Alexandra Kleeman: L’anima è imprigionata in come appariamo.

Alexandra Kleeman: L'anima è imprigionata in come appariamo. Intervista Edizioni Black Coffee

Durante l’ultima edizione de La Grande Invasione, il festival letterario di Ivrea, oltre le numerose presenze tra autori ed editori consolidati, è stato il turno degli esordi.

In particolare quello di Edizioni Black Coffee e di Alexandra Kleeman, autrice di punta del giovane editore a stelle e strisce. Dopo aver letto «Il Corpo Che Vuoi», primo romanzo dell’autrice americana, ho avuto modo di incontrarla in occasione del suo tour italiano per chiacchierare di corpi, fantasmi e dolore.


Come è nato «Il Corpo che vuoi»? Mi racconti il cuore di questo libro? 

Quando si tratta del tuo primo romanzo, passi tutta la vita ad immagazzinare ciò che ci vuoi mettere dentro. Ecco perché il secondo romanzo è sempre più difficile, hai già usato molto di ciò che avevi messo da parte fino a quel momento. 

Crescendo in America ti viene da pensare a tutte le moltissime stranezze del tuo quartiere e della tua città ma quasi non ti senti autorizzato ad usarle. Mi sono poi detta: “Non dovrei sentirmi una scrittrice perché la scrittura è per le cose grandi e non per i sobborghi e i Walmart?”. Quindi una delle sfide che mi sono autoimposta è stata quella di scrivere un romanzo basato sul mondo reale, poiché più volte ho letto cose davvero fantastiche dedicate alla nostra quotidianità. 

Ci sono cose che cerco con impegno di rendere significanti, per poi credere non valga la pena prenderle in considerazione perché ho come l’impressione che il mondo mi dica siano cose di bassa cultura e noiose. Per esempio, se sei una donna, generalmente passi molto del tuo tempo, della tua giornata, a prenderti cura del tuo corpo. Non è un argomento serio di cui parlare, così solitamente viene detto. Io invece penso lo sia. Il corpo che vuoi è nato seguendo l’idea per la quale il nostro corpo non è immutabile, ma possiamo cambiarlo e possiamo farlo in tanti modi diversi.

Perché hai deciso di scrivere un romanzo spingendo così tanto sull’intimità e la sperimentazione? 

Credo che il mondo da me descritto non sia poi così diverso da un romanzo non-sperimentale. In fondo si tratta sempre dell’America, lo stesso mondo in cui ci sono fidanzati, coinquilini, luoghi di lavoro. Ho semplicemente lavorato sul modo in cui avrei potuto rendere tutto ciò strano invece di ovvio, analizzando tutte queste presenze da più vicino, in modo dettagliato. In tutte le scene del romanzo mi sono sentita di mantenere questi luoghi, questi eventi, e farli durare tanto da renderli claustrofobici.

Tutti i personaggi del romanzo sono connessi dai programmi e dalle pubblicità televisive. Nonostante il libro sia uscito nel 2015, hai deciso di utilizzare proprio la TV e non internet, come ci si aspetterebbe da un libro così moderno. C’è qualche ragione in particolare?

Sai cosa? Pensandoci credo sia un po’ per nostalgia. Sono cresciuta nella terra della televisione americana, per cui ho così tanti ricordi d’infanzia di gente che guarda la tv, dei miei genitori che guardano la tv, o quando si andava a casa di amici e parenti per guardare tutti insieme la stessa cosa. 

Internet ha alcune proprietà singolari, ma ha anche molte caratteristiche differenti. Internet ti permette infatti di fingere di avere controllo e di essere tu a controllarlo scegliendo cosa guardare, sebbene dietro ci sia il lavoro di grandi compagnie di comunicazione. 
Della Tv mi affascina il modo in cui ti controlla, lo ammiro e allo stesso tempo mi spaventa. Puoi fare zapping tra un canale e l’altro ma non puoi scegliere qualcosa di diverso da ciò che è trasmesso. È una cosa incredibile, per me è una cosa molto “americana”. Sebbene Internet sia oggi discutibilmente più importante, la TV è l’anima d’America.

Hai pensato di inserire nel corpo di ogni persona un fantasma pronto ad emergere. Hai usato questa figura non solo in senso metaforico ma anche reale, facendo indossare ai componenti di una setta dei lenzuoli bianchi. Come mai ha usato proprio questa figura canonica?

In parte è una sorta di umorismo. Dal mio punto di vista, non sono cresciuta con una vena religiosa, ma sentivo comunque parlare di religione dai miei amici o quando alcuni zii mi portavano in chiesa e sentivo tutte quelle cose di nessun senso per il mio orecchio. Per me lo Spirito Santo era letteralmente uno spirito, proprio come un fantasma. Mi piaceva questa figura per il libro perché la cosa più pazzesca che volevo definire era l’idea di fuga da ciò che opprime chiunque, ovvero il senso di sé stessi, l’essere sempre sé stessi.

Anche se cambi colore di capelli, l’anima è imprigionata in come appariamo, chi sei e il modo in cui la gente ci conosce. La protagonista presto scopre che non c’è via d’uscita e, anche se ci mettiamo un lenzuolo addosso, la società tra fantasmi ha gli stessi dolori e le stesse pressioni di una società normale.

Il Corpo che vuoi è una vera e propria esperienza di lettura. Hai intenzione di giocare con i tuoi lettori? Qual è il vero obiettivo della tua scrittura?

Voglio che la gente rivolga lo sguardo alla propria vita e a tutte le cose ordinarie in cui è impegnata, mi piacerebbe sapere i miei lettori consapevoli di essere sorvegliati e allo stesso tempo inorriditi da esse. 
Non pensiamo spesso ci siano altre opzioni oltre a quello che facciamo, alla soluzione che abbiamo scelto, tutto ci sembra troppo normale. Se invece queste cose ordinarie le rendi spaventose allora ti viene da pensare e interrogarti su questioni interessanti: “Perché vado al supermercato a fare la spesa? Perché vedo quella particolare pubblicità e vado comprare il prodotto che mi mostrano come se non ci fosse un’alternativa?” 
Se poi finisci per fare le stesse scelte, per lo meno alla fine del romanzo, guardi a queste cose con uno sguardo più sospettoso.

In questa storia, come nel mito di Edipo che racconti, molte sono le persone pronte a mutilarsi, metaforicamente e non, per accedere a una parte nascosta della loro persona. Credi che questo sacrificio sia necessario per arrivare a conoscerci realmente?

Mi stai chiedendo velatamente se per conoscere davvero te stesso devi necessariamente soffrire. Nel libro, anche se decidi di mutilare il tuo corpo e il tuo spirito, anche se soffri, non è detto che arriverai a conoscere davvero te stesso. Non c’è una strada precisa per raggiungere questo obiettivo. 

Se pensi al finale del libro, potrebbe essere un lieto fine in quanto la mia protagonista trova un modo per essere nel mondo e in qualche modo è contenta di ciò, alla fine conosce sé stessa in un modo in cui prima non si conosceva. 
Per lei è un lieto fine, per il lettore forse no. Per me invece il finale di un film più spaventoso è sempre stato quello in cui scappi da un mostro per tutto il tempo e alla fine il mostro eri tu.


Un romanzo per mettersi alla prova, scritto da un’autrice giovane e matura per la quale il corpo è un insieme di fantasmi in cui l’anima deve scavare per emergere.
Il corpo che vogliamo lo creiamo solo noi, partendo dal nostro quotidiano, servendoci di questa squillante letteratura americana contemporanea.

Traduzione a cura di Andrea Elia
@Anche i ragazzi leggono

Autore: Alexandra Kleeman
Traduttore: Sara Reggiani
Editore: Edizioni Black Coffee
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tag #Americana #Colorado

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