Alla Gola: il puma hollywoodiano di Henry Hoke
Dietro le fronde c’è un nuovo modo di vedere la realtà, nel silenzio della vegetazione hollywoodiana ci sono occhi e denti famelici pronti a sbranare il mondo. Il protagonista di «Alla gola» (Mercurio Books), il primo libro di Henry Hoke tradotto in Italia, si distingue per la sua animalità, per il suo istinto bestiale.
La tradizione della narrazione dal punto di vista animale è impervia, soprattutto se per guidare il lettore viene scelto di affidarsi a un puma. Un’opzione non scontata quella di Hoke, un autore che in America si sta facendo notare proprio per i suoi testi ibridi, per quella non-classificazione immediata e quel senso di spaesamento che le sue storie tendono a racchiudere.
«Alla gola» non ci porta però nella lingua felina, ma nel pensiero primordiale del predatore in un dialogo diretto tra l’uomo e l’animale, come se un filtro venisse contrapposto alla complessità che già ci circonda.
nelle quiete notti passate nelle grotte quasi immaginavo la scomparsa degli umani
Il gioco sembra quello antropologico dell’analisi sullo stare al mondo, ma tutto cade di fronte alla promiscuità di specie e di generi. Il puma osserva tutto “l’umano” che si muove nel parco naturale situato sotto la grande scritta simbolo dell’american dream. Non a caso molte delle visioni sembrano abbracciare l’onirico: gli eccessi di una società che lontano dagli sguardi sente di poter abbandonare le regole e di fare le sue scelte controcorrente. Tutto sembra un po’ sogno un po’ incubo, tra quelle colline ci si può isolare, si può esercitare il potere in tutte le sue forme (da quella sessuale ai vincoli del branco familiare e non), si può raccontare di una società che il puma sembra codificare di dialogo in dialogo. Lui ascolta tutto, provato e affamato, mentre la siccità continua la sua avanzata, mentre tutto continua a mutare in peggio, a farsi ostile, senza che ci sia una vera consapevolezza di tutte le parti.
Hoke sembra volerci mettere di fronte alle assenze dei nostri oggi, a ciò che abbiamo perduto in favore del fuoco che sta bruciando ogni cosa. Non sorprende che il romanzo sia stato finalista al PEN/Faulkner Award, non per una storia che vuole graffiare le coscienze odierne. Così come non sorprendono gli apprezzamenti di molte delle voci che si stanno affermando in un panorama letterario sempre più saturo, ma che richiede sempre più originalità per chi cerca di emergere.
«Alla gola» si veste di originalità specchiandosi nella sua forma, quella di un libro cesellato scritto in un flusso che, entrando in una natura atavica, ha abbandonato ogni segno di interpunzione.
Il puma parla, costruisce il suo flusso sensoriale senza che un punto o una virgola si mettano sulla sua strada. Difficile non pensare agli esperimenti di scrittura breve più estremi, ad esempio quando Jennifer Egan scrisse la sua «Scatola nera» servendosi dei 200 caratteri che Twitter – il compianto scheletro di X – metteva a disposizione per cinguettare le nostre frasi.
Anche qui possiamo parlare di efficacia, di come il cesello delle parole sia direttamente proporzionato alla violenza delle suggestioni, all’efficacia e al ritmo del racconto. Non mente la Lacey, difficile sarà mettere giù tanta riluttanza.
Il fuoco pare abbia bruciato ogni rifugio, ogni forma e paradigma. Così il puma può rapportarsi anche a una bambina, alla preda naturale, a chi possiede uno sguardo ancora diverso, ancora più insolito. L’obiettivo è riafferrare le forme, il senso, assistere la fenice che la cenere ha ormai carbonizzato. Tra queste pagine la nostra rinascita sociale sembra ancora persa nel tempo, legata da troppe convenzioni.
oggi domani o ieri
il vento cambia direzione e io mi riprendo il mio corpo
Forse non è quello che vogliamo sentire, forse non è quello che volevo sentire. L’ennesima storia che si fa manifesto ecologista, sì da un punto di vista inedito, ma che ritorna su temi (fortunatamente) già al centro del dibattito. Il puma stesso arriverà a prendere posizione, ci guarderà con rinnovata e naturale violenza e giudizio.
Sull’essere bestiali, sull’essere spietati e forse irrecuperabili, anche in una natura in continua evoluzione, forse non abbiamo nulla da aggiungere. «Alla gola» diventa un romanzo in cui la forma appare sicuramente più brillante che non la parabola ecologista.
Hoke fa del suo sguardo il vero punto di forza, sposta anche quello del lettore verso quella grande scritta cinematografica che tutti bene conosciamo. Pare che a Hollywood, mentre il puma sceglierà se mangiare un uomo o diventarne uno, saranno gli emarginati a venire illuminati dai riflettori. Ma le forme non sono importanti, anche se proprio gli ultimi sembrano aver già vinto lo scontro che ci aspetta domani. Con o senza artigli sappiamo già mirare con amore alla gola delle cose.
Autore: Henry Hoke
Traduttore: Valentina Maini
Editore: Mercurio Books
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