Paolo Onori: Scrivere libri è un modo economico per provare a essere un altro.

Paolo Onori: Scrivere libri è un modo economico per provare a essere un altro. marcos y marcos

Esordire non è semplice, farlo per la prima volta superati i cinquant’anni deve essere un’esperienza così unica da dover essere raccontata. La trafila vuole che si lavori a un libro, lo si lasci tra le mani di nuovi lettori e prevede, nei casi più sfortunati, il confronto con gli altri autori.
A grandi linee questa è la vicenda di Paolo Onori – classe ’63 – che con il suo «Fare Pochissimo» (Marcos y Marcos) approda per la prima volta in libreria diventando il secondo scrittore italiano di Casalecchio di Reno.

Le voci parlano di continue frecciatine, di un contrasto sotterraneo con lo scrittore Paolo Nori forse dovuto a qualche somiglianza fisico-anagrafica, una compresenza inaspettata sul territorio, una quasi omonimia e qualche voce che nei piccoli paesi, come vuole la tradizione, tende sempre ad essere distorta provocando dissidio. Tutti fatti trascurabili di fronte a un romanzo più che buono, calibrato come solo uno scrittore già navigato avrebbe saputo fare.

Così nasce questa chiacchierata, con la voglia di conoscere questa nuova voce che a pensarci bene qualcosa mi ricorda, forse un’idea di letteratura ben precisa, nonostante non riesca ancora a capire a quale autore far riferimento.


Paolo Onori perché ha deciso di fare lo scrittore, cosa l’ha spinta verso la scrittura?

Credo che scrivere dei libri sia un modo, economico, ma che può essere sorprendentemente efficace, per provare a essere un altro, che è la cosa, da quando son grande, che forse voglio di più.

Cosa significa per lei esordire oggi in un panorama italiano così saturo? Quale pensa che possa essere il suo contributo?

Io ho provato a scrivere una cosa bella, non ho pensato al panorama. Il panorama, mi ci fa pensare adesso, si arrangerà con me come si è arrangiato prima senza di me. Non credo che si offenda, il panorama.

In «Fare Pochissimo» emerge una forte precarietà che ci rende diffidenti con il mondo. Può essere l’ironia la chiave per superare questo conflitto?

Sa che non me n’ero accorto, che in Fare Pochissimo emerga una forte precarietà che ci rende diffidenti con il mondo? Lo dovrei rileggere. Per via dell’ironia, è una figura retorica, come si sa, che consiste nel dire il contrario di quel che si pensa. Può essere fatta molto bene o molto male. 

Nel 1700 Swedenborg descrisse, seguendo le intuizioni del suo “Arcana Caelestia”, di un Dio buono per cui Paradiso e Inferno coesistono nella vita. Lei nel suo libro afferma che basta un attimo per valicare la linea che divide Paradiso e Inferno. Sia lei che Swedenborg sembra quindi che trasformiate l’esistenza in quel purgatorio di cui negate l’esistenza.

Io, nel mio libro, scrivo che nella religione ortodossa non c’è il purgatorio. Questo determina il fatto che i comportamenti che fanno meritare il paradiso e quelli che fanno meritare l’inferno sono divisi da una linea, che è, come tutte le linee, o la maggior parte di esse, sottile. Ma non lo dico io. Lo dice la religione ortodossa. La cosa a cui fa riferimento lei mi ha fatto pensare alle teorie di Origène, respinte dalla chiesa romana, sull’apocatàstasi, che sarebbe l’ingresso di tutte le anime in Paradiso. Ne parla Benjamin un saggio sullo scrittore russo dell’ottocento Nikolaj Leskov, dove dice che Leskov era molto influenzato da Origène e che, in armonia con la fede popolare russa, Leskov interpretava la risurrezione (più che come una trasfigurazione) come la liberazione da un incantesimo. La vita come incantesimo malefico. Mi piace.

Questo esordio è caratterizzato da una lingua intrisa di formule originali, giochi e immagini rafforzative. Emerge un forte interesse e un grande lavoro, quasi una devozione nei confronti della ricerca linguistica. Quale è il suo rapporto con questa ricerca e quale obiettivo aspira a raggiungere?

Volevo scrivere un libro bello. Mi piace molto la risposta di Iosif Brodskij alla domanda qual è il ruolo dell’intellettuale: «Scrivere delle cose belle».

I suoi personaggi, così come le vicende che li coinvolgono sono così particolari e diversificati che diventano la rappresentazione di mondi agli antipodi forzatamente connessi dalle regole del mondo. Per riuscire nella loro convivenza diventa fondamentale la comunicazione tra di essi e le ambiguità create da questa. Come fanno a convivere nel mondo di oggi le diverse follie personali e cosa la affascina così tanto dei processi comunicativi?

Ci son delle frasi, non so, per esempio, «Esistono solo le cose che si fanno tutti i giorni», che sono come delle leve, hanno la potenza di muoverci e di cambiare i nostri comportamenti. Delle volte basta una paola, la parola Pàpa, per esempio, nel libro, a pagina 65.


Paolo Onori mi ha suggerito una storia di linee molto sottili, una divisione labile tra il far tutto e il far niente, l’idea di poter fare anche pochissimo ma con la consapevolezza di stare in un mondo complesso nel quale trovare la giusta armonia.

(…) devo dire, se guardo oggettivamente ai miei sentimenti la gente mi fa un po’ fastidio, a me.

In attesa di un secondo lavoro che di certo non tarderà ad arrivare, darei il benvenuto a questo nuovo scrittore straripante di constata solidità.

Su Nori:

Autore: Paolo Nori, Paolo Onori
Editore: Marcos y Marcos
Collana: Gli Alianti
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tag #Italia

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