Alberto Laiseca: il mostro che arriva e ci sconquassa il sogno.

Alberto Laiseca il mostro

Nell’esperienza di ogni lettore, nella successione numerosa dei libri della nostra vita, sono rarissimi i momenti di frattura. Quell’esperienza di lettura dopo la quale nulla risulta essere come prima, cambia lo sguardo sulle pagine successive, sull’idea di letteratura che possiamo avere fino a quel momento. Nei casi migliori può cambiare addirittura lo sguardo sul mondo.

Crepe così grandi sono difficili da nascondere, diventano ossessioni, buchi neri con i quali convivere, nuovi spazi in cui orientarsi. In questo senso, l’ultima fenditura inaspettata ha per il sottoscritto un nome ben preciso, quello dello scrittore argentino Alberto Laiseca.

Sul finire del 2016, in concomitanza con la sua morte, mi sono avvicinato a questo autore ignaro dello shock che mi avrebbe provocato. Dopo averlo più volte raccontato, ho così pensato di ospitare in questo spazio chi sarebbe stato in grado di restituire, con maggior efficacia e competenza, il racconto di una voce unica ancora troppo sconosciuta per il lettore appassionato del Sud America e non.

Il curatore, il traduttore e l’autore: Loris Tassi, Francesco Verde e Luciano Funetta. Tre prospettive diverse attraverso le quali costruire il profilo del monstruo

Chi è Alberto Laiseca?

Loris Tassi: Alberto Laiseca è, assieme a Roberto Arlt, il motivo per cui ho dato vita alla collana Gli eccentrici. Secondo Sergio Pitol, “la lettura è anche una lotteria […]. Si scopre un autore in modo apparentemente casuale e poi non si può più fare a meno di leggerlo”. È quello che mi è capitato con Laiseca. 

Nel 2004 trascorsi alcuni mesi a Buenos Aires ed ebbi la fortuna di incontrare diverse volte Ricardo Piglia. Il principale argomento dei nostri incontri era Roberto Arlt, però ogni tanto c’erano “aperture” sulla letteratura contemporanea. Una volta Piglia mi parlò con entusiasmo di Laiseca e mi invitò a cercare i suoi libri. Lessi il racconto “El checoslovaco” e il romanzo Las aventuras de un novelista atonal e rimasi folgorato. Non avevo mai letto niente di simile. Per tornare alla tua domanda, credo che Laiseca sia uno scrittore unico nel panorama letterario argentino. 

La sua unicità si rivela a partire dal primo romanzo, È il tuo turno, il suo terzo libro che pubblichiamo dopo Le avventure di un romanziere atonale (2013) e la raccolta di racconti che contiene “Il cecoslovacco”, ovvero Uccidendo nani a bastonate (2017). È il tuo turno in poco più di un centinaio di pagine contiene l’opera futura di Laiseca, vale a dire: una scrittura concepita come costante parodia dei generi letterari, il ricorso al neologismo e la ripetizione di parole e di frasi, alla maniera di Gombrowicz; la volontà di voltare le spalle alla tradizione argentina, come già aveva fatto Roberto Arlt negli anni Venti; il desiderio di cancellare i confini tra cultura alta e cultura bassa e di tenere assieme Wagner e Ayn Rand, Orwell e Collodi (quelli di Laiseca, in fondo, possono essere considerati romanzi di formazione che hanno per protagonisti degli adulti), Meyrink e Mika Waltari, la Hammer Film e Poe, manuali scientifici (serbatoi inesauribili di metafore, come anche per Arlt) e Sade, Leroux e Lewis Carroll, Joyce e H. Rider Haggard, Sartre e Stoker; “le alterazioni spaventose” di tutte le regole. Questo romanzo rappresenta la “fondazione mitica” del realismo delirante di Laiseca: il punto di partenza è la realtà, ma una realtà analizzata e distorta attraverso una “gigantesca lente d’ingrandimento” costruita dal “delirio creatore”.

Francesco Verde: Indiscutibilmente il “mostro” della letteratura argentina post e anti-borgesiana, un unicum nella storia letteraria rioplatense fra vecchio e nuovo secolo. Monstruo, per di più, amava chiamarsi egli stesso − oltreché Conde Láisek, Al Iseka, Monitor de la Tecnocracia, Lai Chú Tsé, Drácula humanizado… Pseudonimi ed eteronimi tutti derivati dalla sua monumentale produzione narrativa (tredici romanzi, tre raccolte di racconti), allo scopo di sovrapporre e confondere opera e biografia, dando vita a quella “finzione Laiseca” di cui scrive Hernán Bergara, nel saggio in appendice a È il tuo turno.

Fin dall’esordio (proprio con Su turno, nel 1976) e attraverso la smisurata redazione de Los Sorias, l’opera di Laiseca “rappresenta il suo autore… narra la coscienza, da parte dell’autore, del modo in cui le sue finzioni lo pensano”, spiega Bergara. Una chiave interpretativa di straordinaria intelligenza, e con un fulgido precedente: in un articolo del 1983, poi ripubblicato nel volume antologico Los libros de la guerra, il grande Rodolfo Fogwill definiva già Laiseca “fractal de su obra” (e quest’ultima “fractal de Laiseca”).

Ogni suo libro è mosso da una narrazione delirante, ci restituisce il mondo attraverso una visione distorta e in continua evoluzione. Cos’è per Laiseca il delirio, qual è il suo rapporto con esso?

FV: Nel 1963, all’addebito di “barocchismo” rivoltogli da certa critica superficiale Gadda replicava: “il barocco e il grottesco albergano già nelle cose… Barocco non è il Gadda, barocco è il mondo…” Trent’anni dopo, nel corso di un’intervista a Graciela Speranza, Laiseca motivava il proprio estilo col medesimo argomento: “no hago otra cosa que ponerme a la altura del universo, porque el universo es realista delirante” (“non faccio altro che conformarmi all’universo, poiché l’universo è realista delirante”).

A ben vedere, gli aggettivi che più spesso si associano all’opera di Laiseca -“total” e desmesurada” – trovano giustificazione proprio in quest’anelito di mimesi universale, cui l’autore follemente adibisce ogni genere di sapere, nobile o screditato: letteratura, scienza, archeologia egizia, magia nera, pornografia, sadomasochismo.

Un altro tratto caratteristico di questo autore è sicuramente una lingua febbricitante, piena di sottotesto e di parole del tutto inventate. Da traduttore mi parleresti della complessità di questa lingua e di come sia stato doverci lavorare?

FV: In È il tuo turno – specie di hard-boiled anticorporativistico (ovvero di critica del Leviatano mascherata di poliziesco) – Laiseca c’è già tutto: col suo gusto grand guignol, “el saber raro”, la parodia, la fantastoria, la fantascienza, il plagio divertito… Un’esuberanza di temi narrativi spesso generati l’uno dall’altro e alimentati da un linguaggio instancabilmente inventivo, ricco di gergalismi, discordanze verbali, calembour, brachilogie, maccheronismi, onomatopee, e forme tanto personali da sfiorare l’incomprensibilità.

Ho penato a venirne a capo, rileggendo ogni riga cento e cento volte per timore di fraintendere, e tormentando coi miei ripensamenti (fino a poche ore dalla stampa) i pazientissimi Livio Santoro, Loris Tassi e Barbara Stizzoli. Lai li benedica.

Perché leggere Laiseca oggi?

LT: César Aira ha dato la definizione più bella di Laiseca. Per l’autore di Come diventai monaca, Laiseca è “uno di quegli inventori della letteratura, unici e imprescindibili, con i quali tutto finisce e ricomincia di nuovo”. In tempi dominati dall’influenza calmante della letteratura standardizzata” (Wilkie Collins, La pietra lunare) un autore del genere è più che mai necessario.


Ho poi voluto anche dirigere lo sguardo lontano dalla fucina laisechiana, dal racconto di chi lavora da anni su questa voce delirante, a favore di un’esperienza che solo un autore attento e lungimirante come Luciano Funetta avrebbe potuto svelare.

Da scrittore a scrittore, come sei arrivato a Laiseca e come ti sentiresti di definirlo?

LF: Frequentavo già da un po’ la letteratura latinoamericana, ma il nome di Alberto Laiseca mi suonò del tutto nuovo, quando il mio amico Gianluca Cataldo lo pronunciò per la prima volta in mia presenza. Gianluca parlò di questo vecchio e scalognato scrittore che viveva a Buenos Aires, in una casa impresentabile, piena di cani, di vuoti di birra e pacchetti di sigarette Gavilan, una casa piena di libri con le copertine foderate di carta bianca in modo che nessuno, osservando quella biblioteca, avrebbe potuto supporre nulla sulla personalità del suo proprietario. Una volta esauriti i dettagli di colore, finalmente Gianluca arrivò al punto: questo Laiseca, disse, ha scritto un romanzo mastodontico, Los sorias, e pare che sia qualcosa di mai visto prima. Così sono diventato un lettore del Monstruo e, in maniera del tutto consequenziale, ho scoperto alcune strade che la letteratura latinoamericana aveva preso nel disinteresse pressoché unanime dei lettori europei.

Laiseca è, a conti fatti, un demolitore del canone, anche se i suoi libri non lanciano sfide aperte alla storia della letteratura. I libri di Laiseca non vogliono imporsi come un’alternativa o un’anomalia all’interno di un panorama già di per sé ricco di individualità luminose e correnti epigonali degne di rispetto, e questo perché sembrano scritti senza alcuna cura per il potere, la gloria o la rivalsa. Piuttosto i libri di Laiseca sono scritti per esistere, per risvegliare lo sguardo stolido con cui la letteratura di solito scruta la realtà, trasformare gli occhi dei bovini in occhi di bovini pazzi. Mucche pazze che attraversano la città nello sconcerto generale e accendono, con il loro passaggio, l’istinto per la devastazione scatenata che distingue una letteratura viva da una letteratura morta. 

Come molti dei suoi personaggi, Laiseca è un mostro, un assassino, un bombarolo, un fallito, un comico, un sublime vendicativo, un inventore di stirpi geneticamente carenti, un architetto di edifici le cui fondamenta stanno per aria e le cui terrazze si spalancano nel buio del sottosuolo. Sembra scrivesse da un manicomio, Alberto Laiseca, come Leopoldo María Panero, come Leonora Carrington, come Robert Walser. In realtà, per tutta la vita, l’argentino lavorò nella sua casetta di merda, circondato dall’amore dei cani e di pochi amici, frustando la realtà con la parola, sfidando la realtà, irridendo tutto, come un Gombrowicz mai ripartito da Buenos Aires, un Gombrowicz spogliato del suo labbro altezzoso, della sua inquietudine europea, del suo schifo mirabile.

Per questo è, se non necessario, giusto leggere Laiseca oggi. I lettori italiani hanno a disposizione un discreto corpus di traduzioni da cui partire (tre pubblicate da Gli Eccentrici di Edizioni Arcoiris, una da Logos). Non c’è male per un vecchio i cui libri più importanti, almeno fino al giorno della sua morte, erano difficilissimi da trovare nelle librerie di Buenos Aires (dopo il trapasso non so cosa sia cambiato, forse qualcosa, forse niente). Per questo, dicevo, è giusto che Laiseca arrivi sulle nostre tavole imbandite di letteratura gourmet: per tentare il trucco della tovaglia e fracassare tutto, spargere il cibo sul pavimento, far scricchiolare bicchieri rotti sotto le nostre suole terrorizzate, farci ammazzare dalle risate per poi, repentinamente, farci ricordare che quello che si è rovesciato era tutto il cibo che avevamo, che i piatti erano del servizio buono, che i bicchieri non torneranno più a cantare se sfiorati con il polpastrello, che la realtà è questo: un mostro che arriva e ci sconquassa il sogno.


Questi sono solo alcuni degli aspetti di un universo narrativo complesso, affascinante e pieno di vicoli bui. Un luogo pieno di assassini da dover affrontare con coraggio e una certa dose di follia, un luogo pronto ad abbracciare sempre più lettori vogliosi di osare e che avevo il dovere di approfondire. 

Il lascito di Alberto Laiseca è ancora troppo nebbioso, quasi inafferrabile, la costante rimane il suono inaspettato di una risata nascosta da un folto e giallognolo baffone.

Autori: Alberto Laiseca, Luciano Funetta
Traduttore: Francesco Verde
Editore: Edizioni Arcoiris
Collana: Gli Eccentrici
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