La Splendente e il fascino del mito. Intervista a Cesare Sinatti

La Splendente e il fascino del mito. Intervista a Cesare Sinatti

Cesare Sinatti è un giovane autore appassionato di mitologia e filosofia. Dopo aver vinto l’edizione 2016 del Premio Calvino ha pubblicato «La Splendente» (Feltrinelli), il suo primo romanzo, il suo esordio legato all’Iliade.

Trattare di un argomento come quello del mito, mettersi in contatto con una serie di storie così ataviche non è per niente facile, ma fidandomi delle proposte lanciate da questa realtà tutta torinese ho deciso di immergermi in una delle vicende più antiche di sempre, raccontata in questo caso attraverso diverse varianti.

Un’esperienza felice di domande universali e sentimenti profondi mi ha portato a voler incontrare Sinatti per discutere diversi aspetti di questo libro: dalla genesi di una storia ambiziosa, passando per il processo di pubblicazione di un esordio fino al cuore del romanzo.


Come mai hai deciso di candidarti al Premio Calvino? Raccontami questa esperienza.

Il Premio Calvino è una delle prime cose che salta fuori se vuoi pubblicare un libro. Per un esordiente che si interessa un pochino al come farsi pubblicare, il Premio è un’istituzione, una delle prime cose a cui si fa riferimento.
L’aspetto più interessante del Calvino è quello di ricevere una sorta di feedback. Io volevo un parere su quello che avevo scritto, avevo finito il romanzo e avevo ultimato gli ultimi aspetti prima della scadenza della partecipazione, era l’ultimo anno che potevo avere lo sconto under 25 e mi sono infilato. 
Dopo c’è stata la chiamata dei finalisti e la finale piena di emozioni perché fino all’ultimo non si sa il nome del vincitore. È stata una grande esperienza piena di incontri e conclusa con la pubblicazione che non mi aspettavo.

E il passaggio a Feltrinelli?

Durante la premiazione ci sono molti editori partecipanti, Feltrinelli aveva letto il mio romanzo e siccome era per loro un’opera valida ci siamo messi in contatto.

Una volta selezionato come e quanto hai lavorato sul testo? 

In realtà secondo loro il libro era un testo molto pulito, c’è stato editing ma per nulla pesante. Non nascondo di essere stato preoccupato per questo aspetto siccome i libri a volte vengono pesantemente rimaneggiati soprattutto quando uno è agli inizi. Nel mio caso l’editing è stato molto puntuale soprattutto su alcuni capitoli e io ho potuto sempre dire la mia, partecipando in maniera attiva. Così facendo il libro è rimasto lo stesso testo che ho presentato al Calvino ma migliorato.

Quando leggevo il romanzo ho più volte pensato: sto leggendo una bella riscrittura. Possiamo definire «La Splendente» come tale? 

Non lo so dipende da cosa pensiamo che io stia riscrivendo. Ho un modo molto spicciolo per descrivere il libro, dico che è un libro sull’Iliade, ovviamente l’Iliade racconta un episodio localizzato. Io ho esteso tutto parlando di altri miti con l’intenzione di raccontarli, in realtà credo di non aver fatto un’operazione molto diversa da quelle che sono state fatte nel mito e nella storia. 
C’è infatti uno scheletro di storie condivise -quelle del mito greco- e poi ogni autore nel corso della storia ha aggiunto il suo. Carattere del personaggio, collegamento con una certa situazione storica, collegamento con una certa cultura. Io volevo fare questa operazione qui.

Hai preso l’Iliade come base del tuo lavoro, ma tra queste pagine ho ritrovato sicuramente altri miti più o meno canonici. Fino a dove è arrivata la tua mano, fino a dove ti sei spinto?

Ovviamente parlando della guerra di Troia, l’Iliade è stato un riferimento centrale. Poi ci sono tutta una serie di tragedie come l’Elena di Euripide, molte versioni alterative del mito recuperate da Ovidio, Pollodoro e dai vari mitografi dell’antichità. 
Quello che tiene un pochino tutto insieme è la serie di associazioni che a livello strutturale mandano avanti il romanzo, cioè le versioni che sono state scelte o non sono state scelte in base alla loro funzionalità. Tutte le varianti sono state scelte perché secondo me c’è una coerenza interna che il romanzo doveva avere e quindi siccome certe immagini giocavano bene una con l’altra ho cercato di unire queste 24 scene che avrebbero composto i 24 capitoli del libro.

Per costruire la tua Splendente immagino ti sia aiutato con qualche testo in particolare?

Ovviamente Omero con i tragediografi antichi, Apollodoro che è fondamentalmente una grossa lista manuale di nomi e cose mitologiche e non posso non citare Karoly Kerenyi con Gli eroi della Grecia che è stato un manuale molto utile perché tiene tutte le versioni alternative insieme e ti mostra aspetti del mito meno conosciuti. 
Mentre scrivevo il libro ero comunque a Chicago e leggevo McCarthy quindi qualcosa potrebbe essere finito dentro, ma questo come il Pavese dei Dialoghi con Leucò, i fuochi di Marguerite Yourcenar e altre riletture moderne del mito che avevo in mente.

Il titolo, La Splendente, racchiude una figura femminile sia come entità singola sia come pluralità. La figura di riferimento è però Elena, un personaggio già trattato in altre riscritture dell’Iliade che avevo letto, dai grandi classici come Shakespeare e von Kleist fino al più dimenticato Jean Giraudoux. 
Nel loro caso, la loro Splendente, la loro figura femminile, era sempre in primo piano e interveniva sempre. La tua Elena invece è sempre presente ma un passo indietro rispetto la scena.

Mi sta bene perché Elena è il centro invisibile del libro ma non è mai un personaggio di cui racconto le vicende psicologiche o gli stati interiori. Per me l’importante di quella figura è la sua misteriosità, l’idea di Euripide che lei sia presente e non presente a Troia come fantasma, l’idea che c’è una sorta di nucleo invisibile delle vicende umane. Tutto quello che accade nel libro e nella guerra per come io lo racconto è mosso da qualcosa che non è necessariamente presente e visibile. Non volevo fare di Elena un personaggio, mi serviva per dare l’idea di un centro invisibile intorno a cui la struttura dei desideri e della storia si svolgesse.

Sei dovuto venire a contatto con figure molto complesse e idealizzate. Come mai, di fronte al quel corredo di forti personalità mitologiche, hai deciso di rendere proprio Elena il perno, il cuore, della tua vicenda? 

Elena è un personaggio molto strano, perché da una parte nell’antichità è disprezzato ma sul quale si ritorna in continuazione, come non pensare all’elogio fatto lei da Gorgia. Rimane un personaggio verso cui si rimane combattuti e c’è questo fascino quasi mistico intorno a lei, per cui ho preferito non raccontarla come persona perché mi piaceva questo aspetto, ho preferito raccontare il suo fascino rispetto alla sua personalità. In più pensavo muovesse meglio quello che volevo dire in termini di romanzo. 
Dall’altra parte invece è poi un personaggio difficilissimo da mettere in scena in maniera pregnante perché comunque è un personaggio che compie azioni problematiche e sarebbe molto facile cadere nel definirlo un personaggio positivo o negativo, volevo evitare questa presa di posizione. Per me Elena non doveva diventare, come alcune volte viene definita nell’Iliade, la causa della guerra. Ci tenevo a separare questa idea di colpevolezza dal fatto che ci fosse una causa umana dietro le vicende che accadono nel libro.

Dal punto di vista stilistico ti sei servito di una scrittura – credo – molto lavorata capace di non lasciare indifferenti.

Per questo romanzo non ho dovuto fare tantissime riscritture, forse più a livello di struttura calibrando i vari miti, dicendo voglio raccontare questa immagine rispetto quell’altra. A livello di prosa ho dei miei obiettivi, dei miei criteri su quella che considero una buona prosa per scrivere mitologia. Quello che mi premeva era avere chiarezza, articolazione e un certo livello di lirismo in certi momenti, accompagnato da una certa musicalità.

L’eroe completo sceglie con saggezza, non si limita a fare guerra ai nemici.

Mi sono trovato di fronte un romanzo di temi formi e universali. Perché come primo approccio hai scelto quello narrativo? 

C’è un aspetto per cui un’opera letteraria dice qualcosa a livello tematico però c’è anche il fatto che il tema non è il vero obiettivo. Se ci fossero delle tesi precise, quasi come una tesi filosofica che il romanzo sta sostenendo, avrei potuto scrivere un trattato come un’opera filosofica. 

C’è sempre una dimensione in cui si prende un certo tema lo si distacca da sé per farlo diventare un elemento costitutivo del romanzo, io non so se c’è un’attualità di questo tipo di temi, si tratta sicuramente di cose umane, qualcosa che riguarda la crescita degli individui, l’allontanamento dalla giovinezza dei personaggi, un certo rapporto di vicinanza con la bellezza, con il divino, a una certa sensibilità che è più tipica di quell’età e con il tempo, con le esperienze che abbiamo, cambia. Con il tempo tutto può essere letto anche in relazione alla nostra epoca, per me c’è un tipo di sofferenza simile alla nostra contenuta nelle immagini del mito. 

Anche dimenticare è una forma di forza. È come il corpo che guarisce da un dolore. Nessuno perdona o apprezza il dolore, ma il corpo guarisce da sé, col tempo.

Sei indubbiamente legato al ricordo e alla memoria. In certi passaggi parli di anche di una bellezza che viene persa mentre mostri un grandissimo legame con la contemporaneità. 
Ti chiedo perché questo tipo di storia oggi, cosa ha a che fare con la contemporaneità in luce della tua intenzione di spogliare questi personaggi da determinati topos dell’immaginario collettivo rendendoli più umani, più contemporanei.

Il punto del libro non è perché il mito oggi o perché il mito ieri, il perché si è parlato del mito nella letteratura. Io ho fatto un’operazione che non è sicuramente qualcosa di nuovo, il mito è stato ri-raccontato da altri autori che erano ugualmente distanti dall’epoca classica come lo sono io. 

Secondo me c’è un fascino all’interno di queste storie al di là dell’epoca in cui vengono raccontate che è il fascino di ritrovarci qualcosa che ha a che fare con noi essere umani: dalle psicologie a qualsiasi cosa che arriva dal mito a livello proprio di esperienza personale che abbiamo con le storie. Il mito continua a parlare in diverse epoche, noi lo vediamo tantissimo per il fatto che è stato un po’ risuscitato in filosofia da Nietzsche, è presente ad esempio in tutto quel ramo di psicologia junghiano per cui continua ad avere la sua esistenza. Sono tutte storie che fanno parte del nostro bagaglio culturale e sopravvivono perché ancora le troviamo affascinanti e ci dicono qualcosa. Io ho cercato di localizzare quello che le storie ci possono dire intorno a una serie di temi di cui mi premeva parlare ma non ho voluto fare un’attualizzazione, cioè una versione modernizzata del mito, è stato come prendere uno scheletro di una storia che esisteva e dargli una carne nuova.


Un romanzo per chiedersi dove sono gli dei, un romanzo in cui la guerra diventa donna e tutto viene perso perché preannunciato da lontane profezie. Ho letto di eroi che finalmente avevano paura della morte, ma lo stesso non sono fuggiti perché fuggire di fronte ai tumulti di quest’epoca significa rifiutare di vivere, oggi come nel racconto del mito.

Autore: Cesare Sinatti
Editore: Feltrinelli
Collana: I Narratori
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tag #Italia #Mitologia

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