L’aldilà di Horacio Quiroga

L'aldilà di Horacio Quiroga

Quando lessi per la prima volta del rapporto tra Horacio Quiroga e la morte, pensai a come quella vicenda così particolare potesse essere di per sé una storia dell’orrore fatta di una successione di tragedie e di solitudine.

Padre e patrigno morirono per incidenti da arma da fuoco, il suo migliore amico morì per un colpo accidentale partito dal fucile dello stesso Quiroga e molte delle sue mogli furono trovate avvelenate nei loro letti. Il successivo suicidio dell’autore rioplatense di certo non dovrebbe sorprendere.

«L’Aldilà» è una raccolta di racconti pubblicata nel 1935 e proposta in traduzione italiana da Gli Eccentrici, la collana di letteratura ispanoamericana di Edizioni Arcoris, che fa di questo autore uno dei nomi di punta di un catalogo ricco di must e recuperi imprescindibili per appassionati e non.

Autore chiave per il mondo letterario ispanoamericano ha rivoluzionato il racconto moderno e toccato e discusso con diversi scrittori suoi contemporanei: positivamente come nel caso dell’amico Leopoldo Lugones, negativamente come il caso di Borges.
Quiroga è uno dei nomi troppo poco conosciuti tra i lettori italiani, vuoi per la sua produzione fatta esclusivamente di racconti, vuoi per la difficile e discontinua storia editoriale.

Nel mio caso non potevo nascondere entusiasmo di fronte a racconti sul tema dell’aldilà, scritti da chi quel terreno lo conosceva così bene.

Così sono bastate poche pagine per vedere la morte insinuarsi tra le parole. Passando per storie vicine al Poe più ispirato (qui la critica borghesiana diventa evidente) in cui vampiri, bestie, visioni e fantasmi sono elementi imprescindibili per aiutare le parole, i sentimenti da queste creati, allacciati a un immaginario a tutti comune.

Nei racconti di Quiroga è però possibile intuire tutto perfettamente a occhi chiusi. Con stile semplice le varie forme dell’aldilà compaiono dietro uno sguardo timoroso.

C’è la morte dei nostri affetti, la morte delle nostre paure e quella del nostro amore. Pare proprio che l’espiazione sia lontana come concetto filosofico e di vita.

Nella vita l’amore può non essere necessario, ma è indispensabile per poter bussare alle porte dell’aldilà.

Dal racconto omonimo della raccolta, passando per Il vampiro o Il puritano, ho capito quanto una volta morti per amore si è destinati a morire di nuovo seguendo una ciclicità inaspettata.

Citazione obbligatoria per racconti come Le mosche, la testimonianza della sperimentazione di un autore per il suo tempo visionario: qui la morte si capovolge in un gioco letterario raffinato e ronzante.

Due anime con cui afferrare l’inafferrabile: quella classica e quella sperimentale. Questo il biglietto da visita di chi con la sua letteratura è riuscito a diventare un classico e ad aprire quella porta verso la non vita.

Quando creò la donna, Dio volle nascondere la chiave d’oro della sua anima. La ritrovò, nella bara, il primo poeta suicida: e così allora, la chiave passa da un letterato all’altro, l’unico tipo d’uomo degno di custodirla.

Con gli anni credo di averlo capito, Quiroga è uno dei pochi ad essersi servito di quella chiave.

L’aldilà mi ha riconfermato l’importanza del lascito di questo scrittore così versatile, della solidità dei suoi temi e del gusto di un buon racconto di ombre.
Senza Quiroga non avremmo avuto autori come Cortázar e quella chiave luccicherebbe nell’eternità del buio della sua bara, senza nessun passaggio di consegna. Questa la mia unica certezza.

Autori: Horacio Quiroga
Traduttore: Francesco Verde
Editore: Edizioni Arcoiris
Collana: Gli Eccentrici
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