Lincoln nel Bardo: il limbo dei sentimenti di George Saunders

Quando un romanzo, prima ancora di essere tradotto in italiano, riesce a muovere un’eco di commenti positivi da parte di scrittori e critici del calibro di Thomas Pynchon, Colson Whitehead, Zadie Smith e la spinosa Michiko Kakutani, le aspettative per quel titolo non possono che aumentare.

Questa è la storia di «Lincoln nel Bardo» di George Saunders (Feltrinelli), affermato scrittore americano di short stories alla prima prova romanzesca e di una stranissima esperienza di lettura.

Basti leggere qualsiasi racconto di Saunders per farsi un’idea delle ambizioni di questo autore per il quale gli elementi delle sue storie sono, se presi singolarmente, bizzarri e non ordinari.
Partendo da fatti storici legati alla figura del Presidente Lincoln, ci troveremo in una narrazione corale fatta di una moltitudine di voci, La morte di Willie, il figlio undicenne del rappresentante di una nazione in un periodo critico fatto di guerre e instabilità.

Un padre dilaniato dal dolore per un figlio che verrà catapultato nel bardo, in un intervallo di tempo, nel nostro caso uno spazio tra la morte e la rinascita. Tutto secondo il Libro tibetano dei morti preso a modello da Saunders.

In questo luogo l’esperienza di lettura muterà, tra la desolazione dei morti, di fantasmi disillusi. Il piccolo Willie sarà accompagnato da tre figure grottesche, difficilmente collocabili in qualsiasi dimensione del reale, ma dal cuore umano e pulsante indurito dalla vita.

Ci sono colpi troppo pesanti per coloro che sono troppo fragili.

Le voci si continuano ad alternare, tra le testimonianze storiche e quelle di tutti quei morti i quali non hanno ancora accettato la fine di un percorso perché legati ancora, con tutte le loro forze, a qualche aspetto terreno. Un intreccio di voci fatte di vita e di morte, verso una disillusione anche nostra, di sentimenti che continuiamo a stringere nonostante il passare del tempo.

Un reverendo tormentato, un omosessuale sucida e un uomo completamente nudo affetto da priapismo saranno i rappresentanti di un limbo sterminato e buio. Qui tra queste tombe la luce rischia di fare paura, ma rimane comunque necessaria per illuminare il lettore.

Lincoln nel Bardo si distingue per un’alternanza di momenti ironici e la tragedia di emozioni umane ataviche, restituite attraverso una forma atipica e riuscita. Troveremo una successione di piccole citazioni perse nell’immediatezza della tragedia, come se queste dovessero fissare l’inafferrabile, contraddicendosi tra loro, osando e sussurrando allo stesso tempo parole dolci.

Di solito eravamo soli. Lottavamo per stare con il timore di sbagliare.

Lincoln verrà restituito come un uomo camaleontico, carico di responsabilità accantonate dal suo lutto privato. Di fronte un autore capace di raccontare così bene la fragilità umana, sarà proprio il presidente a brillare in una cavalcata interiore verso il domani.

© Damon-Winter/The-New-York-Times

Perso tra i sepolcri ho riso guardando negli occhi la morte, ho sentito una stretta allo stomaco dovuto a un senso profondo di pietà, come se con il procedere della storia la luminosità del mio cuore mutasse, seguendo un battito sepolcrale.

Lincoln nel Bardo mantiene quindi le aspettative molto alte, grazie a un viaggio allucinato, sulla carta complesso per la sua forma e si rivela autentico e appassionante. Un romanzo apparentemente articolato nella struttura, ma limpido e diretto nella sua onestà tra i suoi tantissimi livelli di lettura.

Con una commedia amara George Saunders ha dato spazio a qualsiasi dinamica dei sentimenti, scandita da un’esperienza terrena diversa. Così mi sono fermato di fronte a ogni storia con la voglia di estirpare ogni emozione da quel limbo, quasi a voler tutelare ogni sentimento, portandolo fuori dalle pagine, così come adesso è, grazie a un indiscusso capolavoro di umanità.

Autore: George Saunders
Traduttore: Cristiana Mannella
Editore: Feltrinelli
Collana: I Narratori
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