Nona Fernández: il ricordo non è un esercizio finalizzato alla nostalgia.

Nona Fernández: il ricordo non è un esercizio finalizzato alla nostalgia.edicola ediciones

Sono sempre stato convinto che la Letteratura, quella con la L maiuscola, nasca da esigenze forti. Nel contesto ispanoamericano l’esigenza in questione è stata da sempre più accentuata a causa di un continui travagli storici.

Nona Fernández, autrice cilena classe ’71, fa parte proprio della categoria di scrittori con quella propensione al racconto: pagine su pagine di storia legate al proprio paese di appartenenza. Il suo è uno sfondo di storie fittizie e di giochi letterari pronti ad aggredire il lettore.

Leggendo il suo «Space Invaders» (pubblicato in Italia da Edicola Ediciones) mi sono immerso nella storia del Cile, quella allo stesso tempo passata ma drammaticamente vicina. Ecco perché mi sono sentito toccato. Ecco perché l’esigenza di far parlare chi ha avuto il coraggio di raccontare il suo travaglio.

Alejandro Zambra ha detto: “In Cile per spiegare qualunque cosa devi rimandare alla dittatura. È molto difficile non parlarne”. Perché tu hai scelto di farlo attraverso le voci dei più piccoli?

Perché la mia esperienza personale degli anni della dittatura si è delineata quando ero bambina. È nello “spazio” dell’infanzia che sono ancorate le immagini fondanti della mia vita, che coincidono con un momento violento della storia del mio paese. In questo libro mi interessava intrecciare quei ricordi carichi di orrore e innocenza, e osservarli dal presente, perché solo ora sono in grado di capirli nella loro reale dimensione, e perché sono sicura che contengano le chiavi per interpretare il nostro oggi. Questo esercizio mi sembra fondamentale: ricordare per capire il presente e proiettare il futuro.

Sebbene le voci si diluiscano nel tempo, i sogni sanno resuscitarle.” Che tipo di voci hai perso nel tempo e cosa ha significato resuscitarle?

Borges disse :”La letteratura non è altro che un sogno guidato”. Credo fermamente che quel sogno, rappresentato da ognuno dei libri che ho scritto, sia un territorio dove i ricordi possono resuscitare. I ricordi sono arbitrari e bugiardi e personali proprio come i sogni, quindi è lì che trovano il loro posto migliore.

Dopo il ritorno della democrazia, negli anni novanta, continuammo a essere obbedienti e silenziosi, a tenere la bocca chiusa, senza rivendicazioni, lasciando che la democrazia prendesse il suo posto e facesse il suo lavoro. Passammo così troppo tempo, in silenzio, alienati, quasi storditi direi. All’epoca Pinochet sedeva al congresso come senatore e lo spirito dell’epoca era “fare giustizia nei limiti del possibile”. In questo clima, il volume riguardo a quello che era successo venne tenuto molto basso, per molto tempo non si parlò della violenza che ci aveva investiti, solo di alcuni casi emblematici.

All’improvviso fummo impegnati a dimenticare, a girare pagina e a pensare solo al futuro. In questo “gioco” ci siamo dimenticati troppo, soprattutto di certe voci che prima ci accompagnavano. Voci di contestazione, voci collettive. Probabilmente sono quelle le voci che cerco di resuscitare in questo libro. Ricordare che un tempo siamo stati molto meno obbedienti e che se pur bambini siamo scesi per le strade a protestare, senza fermarci di fronte ai colpi che ricevevamo in cambio.

La letteratura in Cile può essere ancora l’arma giusta per dare voce alle utopie?

Se la letteratura non è un posto dove dare libero sfogo ai sogni e alle utopie, non so proprio cosa sia. È il territorio dove proviamo ad analizzare, a capire e proiettare.

Oggi gli scrittori cileni contemporanei ci appaiono schiacciati dal peso di un’eredità storica che non hanno pienamente vissuto. Come fare quindi a raccontare il presente e a giocare la partita con il futuro del Cile?

Per questioni di età non ho vissuto da protagonista gli anni della dittatura. I grandi scenari di quegli anni mi sono lontani, anche se in realtà me li sono trovati sempre vicini, lì a tallonarmi, ed è per questo che li considero parte della mia storia.

Sono nata e cresciuta con queste immagini nel corpo, incorporate in un album familiare che non ho scelto né organizzato. La mia (scarsa) memoria di quegli anni è formata da quegli scenari. Nella rapida successione di eventi quotidiani, nel vortice di immagini che consumo e scarto quotidianamente, quelle si sono mantenute intatte nel tempo. Come se fossero governate da una forza di gravità distinta, non galleggiano né scappano via nello spazio girando senza meta. Sono sempre lì, resistono. Ritornano a me o io ritorno a loro, in un tempo circolare e denso. Ho dedicato gran parte del mio tempo a “spulciare” fra quelle immagini. Le ho annusate, ho dato loro la caccia e le ho collezionate. Ho chiesto informazioni e spiegazioni. Ho ispezionato i loro spigoli, i loro angoli più oscuri. Le ho ingrandite e organizzate cercando di dar loro uno spazio e un senso. Le ho trasformate in citazioni, in proverbi, in massime, in barzellette. Con loro ho scritto libri, cronache, opere teatrali, sceneggiature di serie TV, documentari e persino telenovelas. Le ho viste proiettate in innumerevoli schermi, stampate in libri, in quotidiani, in riviste. Le ho perlustrate fino alla noia, arrivando a immaginare quello che non riuscivo a capire. Le ho fotocopiate, le ho rubate, le ho consumate, le ho esposte e sovraesposte abusando di tutte le loro possibilità. Ho saccheggiato ogni centimetro di quell’album dove abitano cercando gli indizi che potessero aiutarmi a decifrare il loro messaggio. Perché sono sicura che, come una scatola nera, contengano un messaggio.

E il messaggio è che il ricordo non è un esercizio finalizzato alla nostalgia. Se cerchiamo di ricordare è perché le chiavi del presente sono ancorate al passato e perché senza di loro è difficile proiettare il futuro. Il ricordo ha a che vedere con questo, con un pensiero attivo che cerca il dialogo con l’adesso e con il domani. La memoria è in costante movimento e interroga e mette a fuoco il presente. Altrimenti, non ha molto senso.

In Cile oggi la lettura è un gioco, un non-luogo per ricordare o un rifugio per dimenticare?

Un luogo per ricordare, ma soprattutto per proiettare quei ricordi verso il futuro.


Guardare al futuro con uno sguardo innocente ma consapevole, accorgendosi quanto lo Space Invaders sia un gioco senza speranza. Non provare a fermare l’invasione, l’unico rimpianto. Il ricordo, quello nascosto tra i nostri sogni, la nostra arma. Questa è la lezione di Fernández, della sua Letteratura.

Traduzione: Edicola Ediciones


Un viaggio a due voci nella narrativa di Nona Fernández


Autore: Nona Fernández
Traduttore: Rocco D’Alessandro
Editore: Edicola Ediciones
Collana: al tiro
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tag #Cile

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