La terra del sacerdote di Paolo Piccirillo
«La terra del sacerdote» di Paolo Piccirillo (edito Neri Pozza) è un romanzo fatto di terra e cemento. Nel cemento, il più delle volte, crescono per un processo di sopravvivenza naturale le radici. Radici nel cemento.
L’uomo ha in mano un secchio di cemento fresco. Ha smesso di lavorare e sta cercando di ricordarsi quella sensazione, sua moglie, la frase “sono incinta”.
Quando il caldo bollente lo avviluppa dentro, l’uomo chiude gli occhi e si rovescia il cemento in gola. Cementifica l’amore che ha nel petto e nella pancia, e aspetta che dentro diventi casa.
Le estensioni dell’albero, i suoi rami, possono essere la metafora di un percorso, di una o più decisioni della nostra vita. Le radici sono parte di noi, sono forti, singolari e come l’albero, crescono a prescindere dai luoghi e dalla nostra volontà. Tra queste pagine domina la determinazione violenta della natura.
La terra del sacerdote è un appezzamento poco fertile, di discrete dimensioni, situato in Molise (che non è l’unico sfondo di questa vicenda). Si tratta della terra di Agapito, il luogo in cui si trova il suo casolare, lo stesso nel quale troverà rifugio Flori, una giovane clandestina ucraina fuggita dalla prigionia dei suoi padroni.
Tutto non è come sembra: trafficanti di bambini, spostamenti naturali di gabbie metaforiche e non.
Non ci può essere terra a dividere altra terra, sarebbe comunque terra. Così la donna, la prigioniera, non sa se è libera o ancora in gabbia.
Molti sono i personaggi oscuri che prenderanno le redini della vicenda e molte saranno le parole dette. Parole di lingue e dialetti diversi come l’italiano, il tedesco, il napoletano e il dialetto molisano, tutte sfumature di una comunicazione diretta tra personaggi tanto grotteschi quanto autentici.
Tra queste pagine il passato, il presente e il sogno di ogni singolo individuo fanno lo stesso rumore del legno che scricchiola.
Il romanzo è un incrocio di temi sorretti dallo splendido stile di Piccirillo, un giovane classe ’87 che non ha nulla da invidiare a moltissimi autori contemporanei con molta più esperienza di lui. Il parallelismo con alcune penne americane – su tutti Cormac McCarthy e le sue ambientazioni asettiche e spoglie – è lampante, ed è uno dei punti di forza dell’intero libro. L’uso della metafora e la creazione di immagini indelebili sono l’elemento aggiunto.
Volti e situazioni corali troveranno, dopo vari flashback, un epilogo simultaneo fatto di scelte troppo a lungo represse.
Una trama che, nonostante una particolare linearità, risulterà terribilmente affascinante e innovativa grazie ai personaggi che la popolano con le loro bizzarre e originali peculiarità difficili da dimenticare.
Stile e originalità da parte di un giovanissimo autore. Radici che crescono.
Leggere «La terra del sacerdote» è stato come guardare storie lontane che sentivo non appartenermi, ma che hanno saputo portarmi verso una profonda discussione personale. Rimane una sensazione nera, occlusiva.
Un romanzo che è come una colata di cemento fresco. Richiede del tempo per solidificare i suoi sentimenti. Il tempo giusto per essere assorbito e cementificato.
Non è un urlo continuo. Ogni tanto si ferma, come se le corde vocali dovessero ricompattarsi perché ci sono delle unghie affilate che graffiano, ma loro resistono, si fermano, riprendono le forze e tornano a vibrare;
acuti che toccano la luna.
Vi lascio inoltre l’intervista all’autore fatta con Non Riesco A Saziarmi di Libri.
Autore: Paolo Piccirillo
Editore: Neri Pozza
Collana: Bloom
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