Friday Black: il venerdì nero di Nana Kwame Adjei-Brenyah
Letteratura Americana
Nana Kwame Adjei-Brenyah è un giovanissimo autore americano di origini ghanesi. I più potrebbero anche non conoscerlo, negli States è stato però inserito (nel 2018) tra i cinque migliori esordienti sotto i 35 anni.
«Friday Black», tradotto in Italia da SUR, è il suo libro d’esordio fatto di storie sulla complessità della società contemporanea.
Dodici short stories che arrivano da tutti i venerdì neri che possiate immaginare, spaziando tra il racconto degli affetti, del capitalismo e delle differenze razziali che non sembrano averci ancora abbandonato.
Quella di Adjei-Brenyah è una voce che si inserisce in due tradizioni ben precise e consolidate. Da una parte quella degli scrittori black, dalle madri letterarie come Toni Morrison, ai contemporanei come Paul Beatty e Colson Whitehead. Dall’altra la tradizione postmoderna tutta americana, quella degli immaginari futuristici, del what if, rappresentata da grandi del calibro di Kurt Vonnegut e George Saunders.
A questo punto non dovrebbe essere troppo difficile arrivare all’immaginario preciso nel quale inserire dei personaggi di colore in situazioni di estrema fragilità.
Devo ora raccontare di uno scrittore che sorprende per l’originalità delle sue idee: dalla misura della «Nerezza», alla zombificazione avanzata da capitalismo, passando per le iniezioni di «Bene», feti parlanti e originali distorsioni temporali come il loop di una catastrofe nucleare. Tra queste intuizioni si muovono protagonisti incompleti, alla continua ricerca delle mancanze dei loro cuori, siano queste di tipo materiale o sentimentale.
Nana Kwame Adjei-Brenyah sottolinea gli ostacoli della cultura contemporanea e, nel farlo, si serve di una scrittura tanto scorrevole quanto visiva, spiccatamente sensoriale. Il lettore sentirà la violenza di queste pagine, l’odore del sangue, la forza dei colpi subiti e, davanti l’orrore più nero, non potrà esimersi dal nascondere qualche sorriso.
È l’ironia un’altra delle armi di questo talentuoso scrittore, la stessa che sembra arrivare da racconti indelebili come Parlo anch’io®, uno dei capolavori di Saunders. Uno dei maestri della forma breve a stelle e strisce che è stato – non a caso – maestro di scrittura dell’autore afroamericano.
«E come ha fatto “a fare in modo che ci restassero”, signor Dunn?»
«Mi sono messo a tagliare». George Dunn imita il gesto di tirare più e più volte la corda di avviamento di una motosega.
«Ha mutilato cinque bambini».
«Ho protetto i miei bambini».
Le storie più riuscite sono quelle in cui la scrittura riesce a essere sensazionalistica fino all’ultimo punto. In alternativa c’è l’intento di sfumare, di lasciare le tematiche e le sensazioni sopra il lettore, tralasciando quindi le chiusure ad effetto per dare spazio a conclusioni più sospese. In entrambi i casi, a seconda del tipo di scelta, il gioco letterario comunque funziona: in un caso il lettore verrà letteralmente morso, nell’altro potrebbe rimanere inquieto tra domande e sfumature di estrema melanconia.
Friday Black ci ricorda come essere e rimanere umani in un capitalismo che tende a condizionarci, a nasconderci le vere necessità. La necessità di Adjei-Brenyah sembra invece essere quella di mostrare un’America multirazziale e profondamente problematica, metafora di tutto ciò in cui anche noi (più o meno consapevolmente) siamo immersi.
Una letteratura nera interviene qui, con il suo ammirevole intento militante, a ricordarci del legame tra qualsiasi variante della violenza e la misericordia.
E se la critica nei confronti di questo scrittore potrebbe essere l’intenzione (subito compresa e giustificata) di parlare soprattutto a un lettore di colore, sicuramente più coinvolto attraverso il punto di vista, il merito e la capacità sono quelli di aver creato un racconto collettivo che parla anche e soprattutto al lettore italiano.
La stessa Morrison ha tanto discusso negli anni sul dove indirizzare la propria letteratura, arrivando poi a stabilire come alla fine «la razza conta, ma non ha significato». Che sia quindi un ragno o un leone, in un venerdì nero qualsiasi, ho ora la consapevolezza che la morte potrebbe arrivare con la stessa forza, a ricordarci che l’anima è una e che metterla in vendita – nel nostro tempo – può essere più facile del previsto.
Autore: Nana Kwame Adjei-Brenyah
Traduttore: Martina Testa
Editore: SUR
Collana: BigSUR
_______
tag #Americana #NewYork
Potrebbe interessarti anche:
Alla Gola: il puma hollywoodiano di Henry Hoke
Dietro le fronde c’è un nuovo modo di vedere la realtà, nel silenzio della vegetazione hollywoodiana ci sono occhi e denti famelici pronti a sbranare il mondo. Il protagonista di «Alla gola» (Mercurio Books), il primo libro di Henry Hoke…
Philipp Meyer presenta «Il Figlio» @ Circolo dei Lettori
Dopo “Ruggine Americana”, torna Philipp Meyer con una storia di indiani, deserto e violenza. Con “Il Figlio” torna una grande voce americana.
Da grande di Jami Attenberg
Jami Attenberg appartiene a quel gruppo di scrittori e scrittrice americane che hanno da sempre raccontato di sentimenti universali attraverso un filtro culturale, in questo caso strettamente legato alla cultura ebraica. Da Malamud, a Roth passando per Cynthia Ozick o…