Black Coffee: caffè nero e letteratura americana.
Grazie alla collana Black Coffee di Edizioni Clichy ho conosciuto Sara e Leonardo esattamente dieci anni fa, a loro devo tanto come lettore. Due toscanacci – di nascita o di acquisizione – con la passione per la letteratura americana e per il caffè molto più lungo e molto più nero.
Per me cresciuto a pane e minimum fax, per un lettore che aveva scoperto alcuni dei più grandi americani grazie alla scuola di Marco Cassini e Daniele De Gennaro, fu una prosecuzione naturale verso un percorso già avviato.
Erano gli anni della scissione, dell’innamoramento di SUR, di quando Cassini spostò il suo interesse verso l’America del Sud, senza però dimenticarsi lo sguardo attento di editor più (Nord)americanisti come Martina Testa e Dario Matrone. Nel mentre minimum, esclusa qualche sporadica proposta era cambiata, non era più la stessa.
Proprio lì, in quel momento di cambiamenti, mi resi conto del peso che poteva avere una proposta editoriale, di un patto fatto tra un lettore e un editore, dell’importanza di un dialogo continuo tra le due parti. Da convinto onnivoro e curioso seguì la strada per il sur e trovai un nuovo e frenetico osservatorio a stelle e strisce.
Sara Reggiani e Leonardo Taiuti erano i traduttori e gli editor dei loro libri: coltivavano i contatti, avevano la loro visione, traducevano con competenza e un’esperienza già pregressa ogni parola da loro scelta. Nel giro di qualche anno e una quindicina di libri portarono in Italia storie forti, qualche must sconosciuto e giovani nomi che avremmo sentito negli anni a venire. Da Bonnie Nadzam, a Mary Miller fino a Rita Bullwinkel, Alexandra Kleeman, passando per Bennet Sims e il maestro David Markson, sono solo alcune delle voci che amai prima di quel messaggio.
Fu Sara a scriverlo, mi disse: “Siamo spaventati, ma a breve ti daremo un notizia che ci rende felici. Incrociamo le dita”. Così, qualche mese dopo, vidi quella collana del caffè nero diventare Edizioni Black Coffee. Non ho mai avuto problemi ad affermarlo, ma proprio questa nuova realtà, ha preso il posto della compianta minimum tenuta su, non senza palesi difficoltà, dall’arruolamento di un professionista come Luca Briasco e dalla politica discutibile delle ristampe e del movimento forsennato del catalogo a favore di novità non sempre a fuoco.
Tante le fiere, le interviste, le chiacchiere attorno ai libri e non. Dietro Black Coffee ci sono state sempre le storie, ma soprattutto la vita. Quella di due persone genuine e competenti che sui libri hanno (avevano?) scommesso tutto.
Fino alla lettera dall’editore che qualche giorno fa ho letto con dispiacere, quella in cui sempre Sara parla di una pausa, delle evoluzioni, ma soprattutto del tempo e delle scelte di vita. Questo avviene in un momento in cui l’America è ancora al centro dei nostri giorni, in modalità sempre più diverse e forse nuovamente spaventose. Una pausa che arriverà dopo ottimi libri per nulla in decrescita: non è un caso e non è scontato il mio recente innamoramento per Maxim Loskutoff e il rinnovato entusiasmo nell’aspettare un nuovo libro di un autore tanto amato in libreria.
Da ormai quasi un anno, dopo anni di esperienza nella comunicazione tra diverse case editrici, ho deciso anche io di distaccarmi un poco da questo mondo assai complesso, senza però abbandonare l’amore per il libro. Ho scelto e ho avuto l’opportunità di spostarmi in libreria, anche io consapevole della difficoltà del salto, per poi osservare da un altro punto di vista l’intera filiera. Così nella grande catena per cui lavoro, vivo un ambiente in cui molti dei colleghi sono soliti ordinare e valorizzare libri e proposte più di nicchia, ma ritagliate attorno ai gusti e alle competenze tanto dei singoli librai quanto dei più curiosi e coraggiosi lettori.
Solo ultimamente «Ruthie Fear» è arrivato sul bancone, nonostante sia un romanzo già vecchio per i ritmi del libro, nonostante ci siano altre centinaia di storie pronte a reclamare uno spazio. Sono stato felice di consigliare le storie di Sara e Leonardo e, con tutta franchezza, continuerò ad esserlo e a caldeggiarle. Così come la scelta di comprare «Old King» senza aspettare le fiere, pensando che anche una copia comprata nel momento giusto, durante i primi giorni dell’uscita di un titolo, nonché quelli che ne determinano spesso il destino, potesse fare la differenza.
La stessa differenza che sono persuaso possano ancora fare i lettori, perché oggi non siamo qui per celebrare un funerale, ma per riflettere su una pausa e una storia che – forse – si ferma anche e soprattutto per un sistema sempre più malato che vuole sempre più titoli, sempre di più, anche solo per alimentare una distribuzione strozzina e insaziabile.

Senza voler entrare in discorsi complessi che animano in maniera sempre meno nascosta l’intero settore da decadi e decadi, risulta inevitabile chiedersi fino a dove ci porteranno gli effetti di un mercato sempre più veloce. Da citare l’esempio controcorrente di marcos y marcos, della loro intenzione di voler diminuire i titoli pubblicati in un anno per lavorare e spingere meglio i restanti. Da analizzare la nascita di nuove realtà editoriali nonostante le continue difficoltà (Mercurio Books, Accento, Utopia…). Tutto mentre il tempo e le rese fanno il loro giro e si consumano le sempre più difficili battaglie degli spazi fisici nei luoghi della vendita e delle distribuzioni vincolanti.
Quanta pluralità siamo disposti a perdere nel panorama editoriale? In luce di ciò possiamo ancora parlare del problema della bibliodiversità nelle librerie? Da lettori quanto riflettiamo sulle nostre azioni e sul funzionamento di un settore in decrescita? Cosa possiamo fare?
Black Coffee si ferma, con lei si attenua anche una proposta, un racconto e un’analisi del nostro tempo fatta attraverso una catena di storie e di saggi. La bandiera americana garrisce al vento del presente ma le cose cambiano, così come i tempi e i percorsi.
Ed è così che penso alla lezione di Steinbeck, a quando scrisse di come le persone non facevano i viaggi, ma di come fossero i viaggi a fare le persone (siano essi tortuosi, inaspettati o pieni di meraviglia). La strada, nell’ingorgo frenetico di un panorama da ripensare, pare abbia subito un’ennesima svolta. Qualunque essa sia continuo a essere convinto delle scelte dei singoli, dell’etica di voler sopportare determinate realtà, della lezione tutta carveriana delle piccole/grandi cose.
Di quello che avverrà in futuro ancora non so, ma è giusto che Edizioni Black Coffee sappia cosa è stata fino a qui: per me sono e sono stati un esempio da rispettare e tutelare, anche con una piccola riflessione sul più vecchio dei blog letterari.
Mi è sempre bastato poco, sempre e solo un buon caffé nero e la letteratura come antidoto alla solitudine. Proprio quella come la loro.
Leggi «Una lettera dall’editore».
Editore: Edizioni Black Coffee
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