Il medico della nave/8 di Amy Fusselman

Con Il medico della nave/8 di Amy Fusselman, dopo un’alternanza di romanzi e racconti, è arrivato per Edizioni Black Coffee il momento della non-fiction.
Cambia la forma, abbracciando un genere che negli ultimi anni si sta diffondendo con buoni risultati anche in Italia ma non l’identità, il marchio BlackCoffee, sempre legato a libri fuori le righe i quali si dimostrano vere e proprie esperienze di lettura.

Due storie tra il memoir e il diario raccolte in un solo volume, due racconti intimi e dolorosi attraverso i quali la Fusselman analizza il rapporto con un padre scomparso e la sua esperienza con un uomo chiamato -il mio pedofilo-.

Il medico della nave è la prima dimostrazione di come sia difficile scrivere un pezzo di non-fiction, spaziando attraverso brevi suggestioni da un argomento all’altro, calibrando ogni parola in una sinfonia di sentimenti.

Amy ama i genitori a denti stretti, ma non riesce ad accettare la morte del padre, credendo in un suo ritorno.
Affidandomi al passato di quest’ultimo e al rapporto con il presente di una figlia provata, sono entrato in una bolla avvolgente capace di dividere realtà e finzione. Attraverso il teatro della vita, la finzione del quotidiano, ho visto l’invisibile diventare reale e la realtà messa in discussione da un’inaspettata impotenza.

La convivenza con un lutto privato diventa una simbiosi con un mondo lontano ma terribilmente nostro. L’esperienza di numerosi viaggi per mare, della conquista famelica di ogni spazio, si specchia nei riflessi di un’evoluzione lineare nel tempo del nostro corpo, del mondo e della nuova vita.

Il corpo ti dà una mano. Spinge verso l’esterno. O forse non è lui a spingere, bensì lo spazio, ad accoglierlo dentro di sé.

Nel racconto di 8 invece, Amy Fusselman mi ha portato tra i ricordi della sua infanzia, in una terribile esperienza raccontata con rinnovata lucidità e capacità di analisi.

Essendo più figli del tempo che delle nostri madri, la violenza è così diventata accogliente e formativa. 
Il tempo diviene il vero protagonista della nostra vita.
Il tempo separa le parole, stabilisce rapporti e i limiti.

Siamo quindi costretti a ridurci a quelle parti che consideriamo visibili al prossimo pur di accordarci alla nostra libertà.

Forse la libertà è proprio questo perdersi nel tempo. È solo grazie alla ripetizione che la nostra esistenza racconta una storia.

Più volte durante la lettura mi sono interrogato sul confine tra realtà e finzione, su quanti particolari di queste storie fossero stati influenzati dal ticchettio dei secondi, sulla loro veridicità.
Sono stato costretto a farlo di fronte a una lettura viva grazie alla quale questa scrittrice americana è riuscita a farmi vedere una serie di elementi oggettivamente inafferrabili.

Che forma ha il dolore? Può la vita scorrere alla stessa velocità di una pattinatrice professionista? E del rumore che fanno le crepe del destino non vogliamo parlarne?

Il medico della nave/8 è stato un antidoto al dolore, la conferma di esser naviganti dentro al fiume della vita. Mi ha ricordato di quanto morte e bellezza siano in realtà così vicine e a come, con qualche piccola riparazione, ci si possa sentire ancora più vivi. È nuovo tempo che affrontiamo scarnificato dalle storie del domani.


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